L’esecuzione è uno strumento di effettività legale che assicura al creditore il soddisfacimento del proprio diritto riconosciuto a seguito di un provvedimento giudiziale (sentenza, decreto, ordinanza ecc…), quando il debitore non vi adempia spontaneamente.
Si può agevolmente sostenere che l’esecuzione assume le vesti di un “male” necessario se il debitore non voglia adempiere alla propria prestazione (di pagare, di consegnare, di eseguire opere).
Il processo di esecuzione dunque si compone di una serie di fasi protese al soddisfacimento del diritto del creditore e, come tale, il Legislatore interviene, di volta in volta, per ridurre i tempi che conducono al reale ed effettivo soddisfacimento della pretesa creditoria.
La c.d. “Riforma Cartabia” è stata precorritrice, in tal senso, di un significativo snellimento della procedura esecutiva, infatti i commi da 34 a 44 dell’art. 3 del D. Lgs. 149/2022 recano una serie di modifiche al Libro III del codice di rito al fine di velocizzare l’attività di esecuzione.
Significativa novità, foriera di tale snellimento, è sicuramente il nuovo art. 475 c.p.c. che, nell’originaria versione prevedeva l’obbligo per il creditore di munire il titolo esecutivo della formula esecutiva, consistente nell’intestazione “Repubblica Italiana- In nome della legge” – e nell’apposizione da parte del cancelliere (su originale o copia) della seguente formula “Comandiamo a tutti gli ufficiali giudiziari che ne siano richiesti e a chiunque spetti, di mettere a esecuzione il presente titolo, al pubblico ministero di darvi assistenza e a tutti gli ufficiali della forza pubblica di concorrervi, quando ne siano legalmente richiesti”.
La novella, al contrario, prevede, d’ora in poi, che, per valere come titolo per l’esecuzione forzata, sarà sufficiente che le sentenze, gli altri provvedimenti dell’autorità giudiziaria e gli atti ricevuti da notaio o da altro pubblico ufficiale siano rilasciati in copia attestata conforme all’originale (comma 34).
Accanto all’abolizione della formula esecutiva il Legislatore ha previsto l’istituto della c.d. “vendita diretta” disciplinata dagli artt. 568 bis e 569 bis c.p.c., finalizzata a favorire una liquidazione più rapida del bene pignorato con la collaborazione dell’esecutato.
Su istanza del debitore, da inoltrarsi prima che la vendita sia delegata ad un professionista, il Giudice dell’Esecuzione può disporre la vendita diretta ad un prezzo non inferiore a quello individuato dall’esperto nominato per la stima del compendio pignorato.
Contestualmente all’istanza del debitore viene depositata l’offerta irrevocabile d’acquisto insieme all’importo non inferiore ad un decimo del prezzo offerto a titolo di cauzione.
Tale istanza può essere presentata una sola volta.
In assenza di opposizione da parte dei creditori, il Giudice assegna l’immobile all’offerente, stabilendo termine di 90 giorni per il versamento del prezzo integrale a pena di decadenza.
Altre modifiche sostanziali riguardano i nuovi artt. 559-560 del codice di rito, i quali affidano nuovi poteri operativi al custode giudiziario.
Il legislatore, infatti, affida al custode giudiziario l’attuazione dell’ordine di liberazione del bene pignorato seguendo le disposizioni del Giudice dell’Esecuzione.
Tale novità dovrebbe accelerare i tempi delle procedure poiché il custode giudiziario, essendo un professionista privato a differenza dell’Ufficiale giudiziario che è un pubblico dipendente, ha interesse a portare a termine nel più breve tempo possibile l’incarico, onde ottenere il compenso liquidato dal giudice al termine dell’incarico.
I presupposti, dunque, per velocizzare i procedimenti esecutivi ci sono tutti.
Il 28 Febbraio u.s. ha decretato una nuova modalità di azione della pretesa creditoria cristallizzata nel titolo esecutivo, una modalità in corso di sperimentazione e che si spera porti al soddisfacimento del creditore in tempi ragionevolmente più veloci.